Peter Beckford

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IL PALIO NELLA LETTERATURA

DI LUIGI OLIVETO

 

Eccoli al teso canapeGiocare alla discordiaIl Palio è Siena tuttaOrgoglio di una città-patriaUn giro di trottolaLa contrada dipinge il tuo destinoBibliografia essenziale

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 Nel corso del tempo, al fascino del Palio, al suo potere evocante, non sono sfuggiti scrittori e giornalisti di gran vaglia. Cosicché ampia è l’antologia di scritti palieschi che è andata formandosi e che offre, della Festa senese, un ininterrotto e variegato racconto.
Se partiamo dall’Ottocento – epoca da cui, gradualmente, prende forma il mito letterario di Siena – ci accorgeremo che, dopo le prime descrizioni un po’ pittoresche (finanche pedisseque) dei viaggiatori del Grand Tour, le impressioni sul Palio acquistano sempre più un carattere introspettivo e cólto.
Per avere un’idea – pur sommaria – di questo percorso potremmo cominciare con Peter Beckford, il quale, come si legge nelle sue Lettere familiari (1805), dopo aver puntigliosamente elencato tutte le fasi del cerimoniale che precedeva allora la corsa, resta stupito dallo spettacolo di folla che va formandosi nel Campo, e annota come «la Piazza, in cui qualche minuto prima non c’era un’anima, è ora affollata di persone; vi si riversano alla stessa ora da undici differenti vicoli e strade e ciò costituisce senza dubbio uno dei più piacevoli e più straordinari coup d’oeil che abbia mai visto.»


Già più penetrante risulta il racconto di Joseph Forsyt (1813), che azzarda un’analisi dei Senesi non poi così bizzarra. Premette che «ogni abitante della contrada si sente coinvolto nella medesima causa e freme per la vittoria del medesimo cavallo» e conclude, senza mezzi termini, che «mai furono unanimi i Toscani se non nell’odiare gli altri stati italiani; i Senesi sono sempre stati d’accordo nell’odiare gli altri Toscani; i cittadini di Siena il resto dei senesi; e nella stessa città la stessa passione ha modo di suddividersi in varie contrade.»

 

Eccoli al teso canape

Non appena ci avviciniamo a testi più segnatamente letterari, il primo incontro non può che essere con Vittorio Alfieri. L’astigiano, peraltro grande appassionato di cavalli, dal Palio restò molto preso durante i suoi i suoi soggiorni senesi, ospite dell’amico Francesco Gori Gandellini. Si ricorda, ad esempio, la sua presenza al palio del 15 agosto 1783, corso ‘alla lunga’ (cioè lungo le strade della città) per la festa della Madonna Assunta. Le vicende di quella corsa furono oggetto di ben due sonetti dedicati ai protagonisti principali, i cavalli. Leggiamo in uno dei componimenti: «Eccoli al teso canape schierati; / con altri assai, ma in lor presenza alteri, / né badan pure a que’ minor corsieri, / sol l’un l’altro emulando in vista irati. // Odo già squillar l’acuta tromba, / che al sospirato aringo apre lor via; / già de’ sonanti piedi il ciel rimbomba […].»

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Interessanti risultano anche quelle pagine ottocentesche che testimoniano come il Palio, per quanto “fuori dal tempo”, non sia, comunque, immune “dai tempi”. Divertente, al proposito, è lo spaccato storico, d’epoca risorgimentale, fornito da Mario Pratesi nel ricordare la presenza di Massimo D’Azeglio alla corsa del 4 luglio 1858, che suscitò «un gran bucinare, con dispetto dagli uni e con allegrezza dagli altri, quasi il D’Azeglio v’avesse portato l’annuncio che per la dinastia lorenese e per il tedesco era suonata, come allora si diceva, l’ultima ora.» Ricorda Pratesi: «Il Palio veniva opportunissimo a dare sfogo a questi umori contrari. Dalla restaurazione del ’49 in poi, il Palio, anche presenti le baionette tedesche che guarnivano la piazza repubblicana, serviva come mezzo d’aprire il cuore italiano: era il respiro dell’antica libertà sotto la servitù.»

 

 
Giocare alla discordia

Per citare certe suggestioni (quelle sì oltre il tempo) che il Palio ha saputo suscitare, potremmo chiamare in causa William Heywood, storico e instancabile viaggiatore di cultura cosmopolita, che dimorò a lungo a Siena alla fine dell’Ottocento. Il suo libro Nostra Donna d’Agosto (1899) resta, tutt’oggi, una esemplare introduzione alla storia del Palio. Heywood scrive: «Siena dorme in mezzo agli oliveti e alle vigne; i suoi fieri odi e gli amori anche più fieri sono dimenticati da lungo tempo. Eppure due volte all’anno si risveglia alla vita; e il Principe Azzurro che ha il potere di rompere l’incantesimo che la lega non è nient’altro che il Palio.»


Pure Aldo Palazzeschi, in un articolo del 1926 apparso sul Corriere della Sera, coglierà la malia di Siena e lo spettacolo della piazza percorsa da una febbre collettiva, dove – notare la felice intuizione dello scrittore – si sta giocando alla discordia: «L’ammasso umano compatto contratto rattrappito, nel crepuscolo denso, sangue e viola, si disfà. [...] Ma su tutto un sorriso, io pensavo il dì seguente, dopo una scena di colore, come non vidi mai più bella, mentre il treno correva portandomi lontano da quelle mura che un miracolo conservava ai nostri occhi, e dove i più schietti parlatori d’italiano giuocavano con tanta grazia alla discordia, astutamente solleticando l’istinto profondo che dorme nell’uomo e sonnecchia.»

 

Il Palio è Siena tutta

Più ci inoltriamo nella letteratura del Novecento e maggiormente troviamo pagine che del Palio sanno cogliere il senso profondo. Tommaso Landolfi, ad esempio, in un reportage del 1939, lascia intendere di aver capito molto bene l’afflato, la ‘memoria condivisa’ su cui fonda la passione dei Senesi: «il Palio non è una farsa, non è una coreografia cui si può assistere in perfetta indifferenza, è molto, molto di più. [...] Il Palio è Siena tutta colla sua civiltà continua, coll’immanenza delle sue alte passioni.»


Con altrettanta efficacia Piero Bargellini racconta storia e sentimento delle Contrade e del Palio: «Nel pieno meriggio cinquecentesco, Siena non era ancora matura per cadere spontaneamente nelle mani del dominatore della Toscana. Il suo picciòlo, costituito dalle gloriose costituzioni repubblicane, si manteneva ancora verde, bene attaccato al tronco d’una saldissima tradizione comunale. Bisognò tagliarlo con la spada; strapparlo con la violenza. Da ciò l’offesa, la ferita, lo strazio della disperata resistenza, il dolore della fatale resa. Da quell’offesa, da quella ferita, da quello strazio e da quel dolore, nacquero le Contrade; nacquero come protesta contro la prepotenza, come lenimento alla ferita, come consolazione al dolore, come riaffermazione d’indipendenza e anche come speranza di rinascita. […] Ecco perché il Palio non fu e non è un ‘gioco’ simile ad altri o protratti nei secoli o riesumati in tempi recenti. Il Palio significò la sopravvivenza d’un ideale e di un ordine, conculcato, ma non domato; soppresso, ma non estinto.»

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Alcuni lampi della Festa senese irrompono persino nei vertiginosi e inafferrabili Cantos di Ezra Pound: «e laggiù hanno fatto il loro Palio / “Torre! Torre! Civetta!” / [...] questo calvario “non ne discenderemo” disse il prete / sulla panca maledettamente dura in attesa dei cavalli / e la parata e il carrocchio e il gioco di bandiere / e il lancio delle bandiere delle contrade / “per altre quattro ore” / “non è una hontrada è un homplesso” / spiegava un esperto a un inesperto / con rif. ai resti delle ghilde o arti / dove si dice: hamomila de hampo».L’approccio poetico di Corrado Govoni (1950) è, invece, tutto giocato in una metafora che fa del Palio e dell’esercizio poetico una medesima corsa sfrenata: «Ma tu corri lo stesso, o maledetta, / sputa l’anima e corri, o poesia, / il traguardo è già in vista: / corri anche solo con la spennacchiera / della mia tradita primavera!»

 

 
Orgoglio di una città-patria

Singolare il racconto di Vasco Pratolini che riferisce di una corsa (intra)vista e vissuta dal tetto di un palazzo attraverso gli occhi di una adolescente senese: «La fanciulla era una bandiera gettata alta nel cielo, bianca e celeste come i gonfaloni dell’Onda, e i suoi occhi grigi e oro come i colori della Pantera, orizzontali al campanone del Palazzo: i rondoni a filo sulle nostre teste, la folla pressata nel campo, le caricature animate e frettolose dei ritardatari s’incrociavano nel dedalo di Fontebranda.»


E ancora acuta è l’osservazione di Guido Piovene: «Il Palio dunque è una vera guerra simbolica, in cui alla vittoria concorrono la forza, la diplomazia, la ricchezza.» Su questa stessa linea interpretativa è Geno Pampaloni: «Il Palio non è una gara sportiva, ma ‘politica’»; per poi aggiungere che «la Festa è stupenda… orgoglio della città-patria»). Carlo Cassola, in un articolo del 1946, manifesta il suo stupore nel vedere – così lui dice – l’anacronistica passione dei senesi, ma prende pure atto che «fin che ci saranno degli uomini che indosseranno i vecchi costumi rinascimentali senza vergognarsi, ma anzi con fierezza e con gioia, non ci sarà pericolo che la secolare tradizione del Palio invecchi.» Gianni Brera – giornalista e scrittore capace di inventarsi una funambolica lingua amalgamando cultura classica, vernacolo, lessico corrente – in linea con questo suo stile cólto e giocoso dedica un epinicio a Topolone, cavallo vincitore del Palio del 16 agosto 1969 per la contrada del Nicchio (Ah, Topolone, diavolo saraceno). L’epinicio, come si sa, era un componimento lirico con il quale veniva celebrata la vittoria nelle gare dell’antica Grecia. Cosicché Brera, coinvolto dall’atmosfera paliesca dove «ogni gesto attinge l’eroico», tra il serio e il divertito ricorre alla nobile cifra dell’epinicio per produrre un pezzo di indubbia bravura. Celebra dunque l’impresa di Topolone e del fantino Rondone, ne canta vigore, coraggio, scaltrezza («Il perimetro della conchiglia / è demoniaca pista a carosello / che in un baleno / avvampa e si spegne.») fino a terminare così: «Custodi d’un sogno / concretato dal fuoco / sul colle che scelse / altra materna lupa, / così i senesi dividono / l’odio e l’amore / come il pane e il fiele. / Intanto la storia / nostra cieca padrona / fa correre palii in contrade / sempre più ostili e lontane. / Ahimé la patria si eredita / non si sceglie / se non dopo averla perduta, / ma chi ha gambe e cuore / non può vegetare da salice: / qui dunque a mia volta / chiederò una contrada, una parte / che m’illuda almeno di vivere / ancora e sempre da uomo».


Non può nemmeno dimenticarsi il romanzo di Fruttero e Lucentini Il Palio delle contrade morte (1983) che ambienta nella cornice della Festa senese una vicenda sospesa tra il poliziesco e il fantasy. In filigrana, gli autori colgono sottilmente quella specie di gioco dei destini incrociati fra viventi e trapassati (ove gli uni incarnano nuovamente gli altri) che il Palio sembra racchiudere. Il racconto, infatti, pare proprio immerso in quell’aura ‘spiritica’ della Piazza in cui, giusto i fantasmi di una storia antica, sopravvivono a sé stessi nel tempo: «Ci hanno voluti qui [...] come testimoni, per non essere i soli viventi (“viventi”?) su questa piazza, su questa terra, a veder correre questo Palio delle loro risuscitate contrade. [...] Avevano bisogno di noi per dar corpo alla loro corsa fantomatica, per in qualche modo confermarla, sostanziarla… toglierla dal limbo del virtuale, del mero immaginario.» Italo Calvino, commentando il romanzo di Fruttero & Lucentini, annotò: «Più di tante altre città italiane Siena è un mondo a sé, in cui il passato storico è sempre presente e ineludibile, e si rinnova ciclicamente nel rito annuale del Palio, attorno al quale gravitano la struttura stessa della città, divisa in Contrade, i rapporti umani, il linguaggio, le passioni e pure l’identità delle persone.»

 

Un giro di trottola

Quanto alla poesia, il testo più ‘alto’ che sia stato dedicato alla Giostra senese resta indubbiamente quello di Eugenio Montale, intitolato “Palio”, compreso nella raccolta poetica Le Occasioni e datato 1939. Si tratta di un componimento estremamente complesso e niente affatto “d’occasione”, in cui ogni immagine o suono della piazza («un giro di trottola», «nella purpurea buca», «un tumulto d’anime», «dalla torre cade un suono di bronzo», «la sommossa vastità», «tamburi che ribattono a gloria di contrade», «il ghirigoro d’aste avvolte … che s’incrociano alte e ricadono in fiamme») rimandano a più universali e tormentati destini. E, quindi, a interrogativi di cui tu [cioè Clizia, la musa del poeta, la donna-angelo delle Occasioni] «ritieni tra le dita il sigillo imperioso ch’io credevo smarrito.» E così il Palio, con il suo «giro di trottola» diventa immagine dell’inesorabile ciclicità della vita; e la donna amata un traguardo.


Ugualmente intensi sono i versi di Mario Luzi nel testo poetico dove l’abbacinante policromia della Piazza è per il poeta metafora di molteplici accecamenti. Qui il montaliano «giro di trottola» diventa «bruciante mulinello»: «Finché nel furore policromo / del bruciante mulinello / mi guarda Siena / da dentro la sua guerra, / mi cerca dentro con gli occhi / addannati dei suoi veliti / percossa dai suoi tamburi / trafitta dai suoi vessilli […]».
Ai primi decenni del nuovo secolo, altre pagine si sono aggiunte alla corposa antologia paliesca. Quando ad Andrea Camilleri viene chiesto se oggi, nel tempo della globalità, possa avere ancora senso un evento «che spezzetta una piccola città come Siena in tante piccole contrade», egli fornisce una risposta quanto mai sagace: non è anacronistico, perché «in fondo io sono felice che sia un sarto europeo a confezionarmi il prossimo vestito che indosserò. Però se la mia biancheria intima è del mio paese, io mi ci trovo più a mio agio dentro quel vestito, e quel vestito mi cade meglio. Sicuramente.»
La dimensione sacra della Festa affascina Barbara Alberti, allorquando osserva la «Madonna del Palio, che vola sopra le teste nel suo stendardo. E’ una Madonna – dice la scrittrice – che capisce l’uomo, una Madonna che ci accoglie così come siamo, nudi, sudati, felicemente disperati, scomposti, urlanti.»


A mettersi nei panni dello straniero che vorrebbe capire subito e fino in fondo il gioco del Palio, è Marco Lodoli, il quale spiega anche il momento in cui, poi, tutto appare finalmente comprensibile: «[…] così vaghiamo tra i vicoli delle Contrade, sperando in una rivelazione che non arriva. E poi siamo in Piazza, quando i cavalli scattano alla partenza, la folla urla e il cielo è azzurro e oro, e d’improvviso tutto, inspiegabilmente, ci appare chiaro.»
Melania Mazzucco è ammaliata dall’atmosfera che si crea durante la benedizione del cavallo, perché «il cavallo non si è mai chiesto cosa si vince. Cosa si perde. Qual è la posta in Palio. E’ probabile che non capisca il latino e che non sappia nemmeno cosa è un crocifisso. Ma il cavallo non sa di non saperlo. Nessuno sa cosa sognano i cavalli».
Sempre ai cavalli si rifanno le parole di Erri De Luca allorché scrive: «i loro zoccoli battono il ritmo del cuore degli uomini quando è in tumulto. Il galoppo degli zoccoli è il tamburo del sangue». Mentre nei versi giocosi di Giosuè Calaciura, ecco «Come dal mare mosso / Emerge un cavallo scosso. / Ha sulla fronte un segno / del Campo fece subito il suo regno. / Sin dalla tratta sembrava bestia matta.»
Ma i cavalli sono anche «l’odore» del Palio. Lo evidenzia Aurelio Picca: «Nella notte dell’Assunta, l’odore degli animali in Piazza del Campo, è superiore a ogni profumo». E nell’aria sospesa della vigilia – prosegue Picca – si avverte una «tregua pungente prima dello scoppio della passione più bella del mondo» per poi urlare: «non morirai mai felicità immensa! Non ti perderai mai, attimo che fuggi per sempre!»

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Gli occhi di Marcello Fois privilegiano, invece, il “dietro le quinte”, indagano gesti, espressioni, parole a fior di labbra di capitani e mangini, loro che «parlano senza parlare, fanno partiti che partiranno: d’aspettare alla rincorsa, di far due giri senza nerbo, di dar la rinserrata all’avversaria, di mantenerla nonna... E poi che la loro contrada non arrivi seconda, che arrivare secondi è peggio del sole che non sorge.»

 

 
La contrada dipinge il tuo destino

È ormai cosa nota anche ai non Senesi: non ci sarebbe il Palio se non esistessero le Contrade. E proprio quel sentimento profondo e condiviso che la contrada rappresenta è còlto da Enzo Siciliano: «Nel grande cerchio delle mura della città si creano tanti piccoli cerchi quante sono le contrade, e tanti maschi divisi saranno, con le loro donne, chiusi nel proprio cerchio a covarsi la vita che sfoga poi nella corsa, nel lampo del palio due volte l’anno. […] Sei la tua contrada in vita e morte: e il segno, i suoi colori ti accompagneranno in fraternità coi tuoi contradaioli, pure nella solitudine del sepolcro. La tua contrada dipinge il tuo destino.»


Se Fruttero & Lucentini azzardano intorno al Palio la trama di un romanzo poliziesco, il giallista Carlo Lucarelli, da par suo, non poteva che fantasticare sul Palio quale scena del delitto perfetto. Ovviamente sparando in perfetta sincronia con lo scoppio del mortaretto «e andarsene indisturbato quando la Contrada che ha vinto attraversa le vie della città cantando a squarciagola dietro al palio appena conquistato.»
In Enrico Ghezzi si avverte quasi una sorta di sgomento dinanzi all’accumulo di pathos che implode e si brucia nella fulmineità della corsa: «E tutto questo per una cosa che dura poi veramente poco. Un colpo di freccia. E’ terribile quanto ci sia di vitale e mortale. E’ come se la vita fosse l’attesa di un momento che non esiste. Che è una linea, che è un attimo, un istante. Il momento in cui si verifica il morire.»


Di grande tensione lirica risultano i versi di Alda Merini che hanno accompagnato il drappellone di Ugo Nespolo dipinto per il Palio dell’Assunta 2007. Anche in questo testo emerge la densità visionaria che contraddistingue la produzione della poetessa: «Udite, udite / stanche contrade / messaggeri d’amore / e di guerra che correte / nel nome della Vergine / in bocca ai leoni. […] Bevete il vino / e acqua per incoraggiarvi / e sperate che poi vi / abbandoni per la gloria della vita.»
La gloria della vita, appunto. Ecco il tema che ritorna ogni qualvolta si scriva di Palio: cioè il suo continuo alludere, attraverso il gioco, ai sentimenti dell’umano esistere. Una Festa, dunque, che della passione, della vita e del suo contrario è metafora, tenace rappresentazione, ininterrotto racconto.

 

Bibliografia essenziale


La bibliografia in tema di Palio e letteratura è molto ricca. Qui ci limitiamo a segnalare le fonti principali da cui sono stati estratti i brani citati.

AA.VV., Visioni di Palio, Protagon, Siena, 2004.
Alfieri V., Rime, Le Monnier, Firenze, 1933.
Brilli A., Viaggiatori stranieri in terra di Siena, Monte dei Paschi di Siena, Roma, 1986.
Fruttero C. e Lucentini F., Il Palio delle contrade morte, Mondadori, Milano, 1995.
Heywood W., Nostra Donna d’Agosto e il Palio di Siena, Protagon, Siena, 1993.
Luzi M., L’opera poetica, Mondadori, Milano, 1998.
Montale E., L’opera in versi, Einaudi, Torino, 1980.
Oliveto L., Siena d’Autore, Provincia di Siena, Firenze, 2003.
Pecchioli A. (a cura di), Il Palio di Siena, Editalia, Roma, 1980.
Pound E., I Cantos, Mondadori, Milano, 1985.
Verdone M., Siena. La città del Palio, Betti, Siena, 2017.

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